I dipinti degli altari

ALTARE MAGGIORE
Grandiosa costruzione in biancone del Grappa, opera del lapicida di Pove Stefano Marcadella.
Dopo il Concilio Vaticano II, il sacerdote non volta più le spalle all’assemblea dei fedeli durante la celebrazione della messa e quindi è stato posto sul presbiterio un nuovo altare: quello che c’è adesso è la terrazza del vecchio pulpito, opera del 1830 di Giovanni Zardo Fantolin, raffinato ebanista di Crespano, cugino di Canova.
Nell’abside sopra l’Altare maggiore domina la grandiosa pala (m. 3,3×4,6) dedicata alla Deposizione di Cristo e alla Trinità (a cui è dedicato il Tempio). Solenne è la figura del Padre, con le braccia aperte, da cui discende, tra il tripudio delle schiere angeliche, lo Spirito Santo che congiunge il cielo alla terra nel supremo atto della salvezza. La Madonna al centro e con le braccia spalancate è la protagosta “umile e alta più che creatura” del mistero insondabile della redenzione di Gesù. L’ampio dipinto, frutto di “lungo studio e di grande amore” era stato inizialmente progettato per essere collocato nella vecchia chiesda parrocchiale di San Teonisto (abbattuta nel 1842 per far posto al Tempio): iniziato nel 1799, concluso da Canova nel 1822, venne posto nell’attuale cornice nel 1830.

ALTARI LATERALI
Gli altari laterali del Tempio, opera di Stefano Marcadella di Pove, sono raccolti in quattro cappelle; in ognuna di esse, sopra uno zoccolo di 70 centimetri, si ergono due colonne ioniche di pietra lumachella (la stessa pietra delle colonne esterne), alte 4 metri e del dimetro di 53 centimetri. Sulle colonne poggia l’architrave composto di tre fasce: il fregio è liscio e la cornice, abbellita di preziosi ornamenti, elevandosi da ambo le parti ad angolo acuto, forma il frontone. Complessivamente la struttura di ogni altare è alta 7 metri e larga 4.

1- ALTARE DI SAN FRANCESCO DI PAOLA
a destra per chi entra dal portone centrale

La pala di questo altare è un olio su tela del napoletano Luca Giordano (1632-1705), pittore che veniva soprannominato Luca Fapresto per la velocità con cui realizzava i suoi dipinti. Raffigura san Francesco di Paola, un santo del Quattrocento famoso per i digiuni, le preghiere e la vita ascetica che imponeva a sé e alla sua comunità di Frati Minimi. Fin da giovane aveva ricevuto il dono della contemplazione ascetica del Paradiso: ma come era dedito alla vita mistica, altrettanto si impegnava per sollevare i poveri dalla fame e difenderli dai soprusi dei nobili. In questo quadro del Tempio, san Francesco è raffigurato mentre attraversa miracolosamente lo stretto di Messina sul proprio mantello. Il fatto venne narrato per secoli ai cristiani di Calabria e di Sicilia dove si diffuse il culto del santo.
Narra la leggenda che san Francesco era giunto con i suoi compagni a Catona, villaggio nella provincia di Reggio Calabria, a pochi chilometri da Villa San Giovanni, il punto più prossimo per l’imbarco dal continente alla Sicilia. In quella spiaggia s’apriva un piccolo porto, dal quale partivano ogni giorno le barche da trasporto. Francesco sperava che lui ed i suoi frati, sebbene sprovvisti di denaro, avrebbero trovato posto in qualcuna di esse. C’era infatti un barcone carico di legname da costruzione pronto a far vela per Messina. San Francesco si avvicinò al padrone (un certo Pietro Coloso) e, dopo averlo salutato cortesemente, lo pregò, per amor di Gesù Cristo, di accoglierlo nella barca con i due confratelli che erano con lui per la traversata dello stretto. “Volentieri“, avrebbe risposto l’uomo, “purché mi paghiate“. Il frate spiegò che non aveva nenache un soldo e che si era rivolto a chiedere il passaggio per sola carità… “E che importa a me?” replicò l’uomo con rudezza: “Se voi non avete denaro da pagarmi, io non ho barca per portarvi“.
Questa brusca risposta non turbò Francesco che ricorse con fiducia all’aiuto di Dio: fece pochi passi lungo la spiaggia, si mise in ginocchio a pregare il Signore; poi si alzò, benedisse il mare e distese il suo mantello sulle onde , montarvi sopra con decisione, come fosse una zattera, e tenendone stretto un lembo alla estremità superiore del suo bastone, come a servirsene di vela, procedeva rapido e sicuro verso le coste siciliane….

2- ALTARE DELLA MADONNA E SANTI
a sinistra per chi entra dal portone centrale

La pala di questo altare era ritenuta, fino a pochi anni fa, opera di Andrea Vicentino. Ma studi più recenti l’hanno fatta attribuire a Palma il Giovane: l’aveva acquisita mons. Sartori, fratello di Canova, assieme all’altro dipinto di Palma presente nel Tempio, dall’Accademia di Belle Arti di Venezia scambiandola con un grandioso quadro della Madonna della Mercede che a Sartori non piaceva per i suoi colori tetri (e anche perché le dimensioni del dipinto non ci stavano sopra l’altare del Tempio). E’ rappresentata, in alto, la Madonna con Gesù Bambino nella gloria degli Angeli; mentre in basso compaiono i santi Sebastiano (con le frecce nelle carni), Francesco d’Assisi (con la croce in mano), Antonio da Padova (libro e giglio), Rocco da Montpellier (col bastone del pellegrino).

3- ALTARE DELLA MADONNA DELLA MISERICORDIA E DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO
a sinistra dell’Altare Maggiore

La pala di questo altare è in realtà uno stendardo processionale (142×200 cm), dipinto a olio da entrambi i lati, ritenuto opera di Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone (1483-1539), un pittore veneziano che, dopo la morte, fu quasi dimenticato per la grandiosa presenza sulla scena artistica dell’epoca di Tiziano Vecellio. Non tutti però attribuiscono al Perdenone le due opere: in tempi recenti, si è indicato come autore Alessandro Bonvicino, detto il Moretto (ca 1498-1564). La tela presenta, da un verso, la Madonna della Mercede con veste rossa fiammante mentre due angeli le reggono un mantello nero; ai lati stanno due fedeli incappucciati secondo il tradizionale vestito della confraternita dei Mercedari; nel retro, sono raffigurati invece l’evangelista Giovanni e l’apostolo Paolo o, secondo alcune recenti interpretazioni, i profeti Enoch ed Elia. Lo stendardo è vistosamente più piccolo di dimensioni rispetto ai dipinti degli altri tre altari laterali, per lasciare posto alla cassa delle Reliquie posta subito sotto. Canova aveva acquistato lo stendardo a Roma, attorno al 1820 (ne parla in una lettera al suo amico, don Angelo Dalmistro, allora parroco di Coste di Maser), dalla nobile famiglia veneziana degli Ottoboni (che si era trasferita a Roma già da due secoli, da quando un loro congiunto, Pietro Ottoboni, era diventata papa col nome di Alessandro VIII). Lo stendardo era arrivato nella collezione degli Ottoboni da Pissincanna in provincia di Pordenone (sarà per questo che Canova li riteneva opera del Pordenone?)

4- ALTARE DI GESÙ NELL’ORTO
a destra dell’Altare Maggiore

Il dipinto di quest’altare (olio su tela, m. 2.80 x 2.99) rappresenta il momento in cui Gesù suda sangue nell’Orto degli Olivi ed è sostenuto nel suo dolore dall’Angelo che Dio Padre gli invia per sua consolazione. E’ un’opera di Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane (1544-1628). Il dipinto non apparteneva alla collezione di Canova ma era nella collezione dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Lo ottenne mons. Sartori, fratello di Canova, con un altro dipinto di Palma il Giovane (la Madonna con Santi, presente in un altro altare del Tempio) in cambio di un grandioso dipinto raffigurante la Madonna della Misericordia del Moretto che Canova aveva comprato dalla famiglia Ottoboni ma che a Sartori non piaceva (la chiamava la “Madonna del pipistrello” per i due ampi lembi del mantello nero che i due angeli le sollevano da dietro…).

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